GUARDARE O VIVERE IL FILM DELLA PROPRIA VITA? Esercitare la presenza di sè
Quando si prova un sentimento lo si sente come qualcosa di esclusivamente personale: un quid di intimo, che sorge dal profondo di noi stessi.
Si dice di sentire ad. es. rabbia o tristezza, o paura. Sentendo angoscia, si pensa che essa sia qualcosa che si trae dal profondo di se stessi, che sia espressione del nostro nucleo, che sorga dalla nostra natura più intima. Si crede di stare provando qualcosa di davvero esclusivamente “nostro”. Chi potrebbe dire: “l’odio che sento, non è mio!” E’ qualcosa di così fortemente personale…
Ma se riflettiamo bene, possiamo accorgerci che questi sentimenti sono esperienze che tuttavia, provano tutti gli umani. Tutti provano paura, tristezza, rabbia, gelosia, ecc. Non siamo gli unici nel mondo a provarli. Si tratta di esperienze comuni a tutta l’umanità.
Anche se ansia, dubbio, paura, incertezza, insicurezza sembrano qualcosa che ha a che fare con il nostro carattere e il nostro modo di essere, che ci rimandano a qualcosa che sentiamo nostro, essi non sono sentimenti personali. Non sono solo nostri.
I pensieri, i sentimenti, i ricordi, gli impulsi sono tipicamente e universalmente umani, sono esperienze che ogni umano ha. Ugualmente come noi sulla terra, ci sono miliardi di persone che provano le stesse cose, nello stesso modo di come le proviamo noi.
Cosa significa? Non possiamo dunque dire che la rabbia, la gelosia è nostra?
Questo vale anche per altri ambiti, che sentiamo esclusivamente “nostri”: quando si pensa, si crede di pensare in modo personale. Invece si pensa con gli stessi meccanismi, condizionati da mille impulsi, come accade ad altri miliardi di umani.
Inoltre, tutti hanno facoltà di memoria, di ricordare immagini mnemoniche. Come te. Non è solo “tuo” il tuo modo di ricordare. E’ tipico di tutti.
In realtà non esistono sentimenti e pensieri personali, che sono creati da noi, che sono “nostri”. Sono di tutti e per tutti. Essi semplicemente si “fanno pensare e sentire” da noi, facendoci identificare con essi stessi. Non scegliamo noi di “sentirli o di provarli”: essi si presentano nella nostra coscienza e si manifestano, facendoci “diventare” la rabbia, il dubbio, l’ansia, l’indecisione, l’impazienza. E’ il sentimento di identificazione, di coinvolgimento con queste cose che “ce le fa sentire nostre”.
Un sentimento sembra nostro. Ma è di tutti. E’ qualcosa che “scorre” dentro la corrente evolutiva e penetra dentro la coscienza individuale di ogni umano. E compare in ogni anima, come una base comune. “Omologandoci” come esseri parte del regno umano.
Dobbiamo “cambiare” la nostra credenza su questo: i pensieri e i sentimenti non sono “il nostro stato d’animo” sono “qualcosa che ha un esistenza propria”, che non creiamo noi. Qualcosa che si “impone a noi” e approfitta del nostro spazio animico, per vivere dentro di noi. Si potrebbe dire che l’ira o la rabbia, “cerca” l’uomo per poter “scaricare” la sua forza, così come la saetta viene attratta dal parafulmine.
Esiste dunque una “rabbia” oggettiva, un “essere della rabbia” che permea il mondo, che desidera, vuole entrare nell’uomo?
Si. Esiste, esistono. Si tratta di esseri viventi di altri mondi invisibili, che vivono dentro di noi.
Si presentano, appaiono dentro di noi -come pensieri e sentimenti, ma sono un’altra cosa: hanno una loro vita, una loro coscienza, una loro volontà, un loro rango e luogo di provenienza.
Si può dire che esistono “legioni” di esseri di pensiero e sentimento. Nubi animiche di sentimento. Schiere di esseri elementari astrali che hanno la funzione di generare in noi “il senso di sé”. O Ego.
Crediamo di essere qualcosa, per il fatto che semplicemente pensiamo o sentiamo o ricordiamo.
Se togliessimo pensieri, ricordi e sentimenti cosa resterebbe di noi? Se ci svegliassimo un mattino con un ammnesia totale, sprovvisti della nostra biografia a cosa diremmo “io” ?
Questi esseri esistono per farci “sentire” un io. Un aggregato di pensieri e ricordi, che si dice “io”.
In realtà non siamo mai un io: siamo un ricordo, un azione, un desiderio, un pensiero. Siamo un’agglomerato di esseri viventi che compenetra la nostra coscienza.
In altre parole, noi non viviamo mai uno stato d’animo: lo subiamo.
Veniamo attraversati da fenomeni di pensiero e sensazione, i quali ci spingono a determinare reazioni, ci stimolano a intraprendere certe azioni.
Dobbiamo accorgerci prima o poi di non essere noi i padroni della nostra vita dell’anima. Si deve scoprire che siamo “animati” da forze che ci sorreggono, dandoci una sensazione di essere che si origina dalla loro presenza in noi.
Queste forze hanno avuto un loro ruolo sinora, per sviluppare la coscienza dell’io. Ma ciò che era buono e utile un tempo può diventare oggi pericoloso, dannoso perchè ha esaurito il suo compito. Ora può degenerare in egoismo assoluto, in omologazione totale.
Dobbiamo alzarci dal poltrona del cinematografo della vita e cominciare a vivere la vita, non a farci vivere da essa e dai suoi esseri astrali, guardandola come se essa fosse un film.
Solo allora saremo un io, che non poggia su nulla, ma che pensa, sente, vuole se stesso.
ESERCITARE LA PRESENZA DI SE’
Proviamo a rallentare i nostri gesti. Ad uscire dalla frenesia quotidiana.
Poniamoci ad osservare i nostri movimenti lenti. Cerchiamo di compiere azioni come se stessimo facendo qualcosa di solenne, di cultico, di religioso. Proviamo a sollevare il bicchiere e portarlo alla bocca con lentezza, al rallentatore. Tentiamo di girare il capo e osservare la stanza con pacatezza e lentezza.
L’essenziale è fare qualcosa vivendo il presente, non agendo in funzione di qualcosa che verrà. Si può correre, vivendo la sensazione del correre, godendo il percepire il tono della muscolatura, del fiato, non proiettandosi nel pensiero di cosa faremo quando saremo giunti a destinazione. E’ fondamentale non fare una cosa solo come “mezzo” che ci conduce ad una finalità.
Occorre essere presenti, riversando e donando la propria attenzione solo sul momento presente, considerando e vivendo il momento presente. Scopriremo una sensazione nuova, magica, mai provata. Avvertiremo qualcosa di particolare: come se sapessimo di essere sulla “scena, sul palcoscenico” della vita. Non più sulla poltrona a guardare la vita.
Questa sarà la nostra educazione a diventare presenti, a non essere trascinati da “altro” che non dal nostro essere. Cominceremo ad essere “io”.
Tiziano Bellucci
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