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AVERE PROVE DELL’IMMORTALITA’ DELL’ANIMA?



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 La via spiritistica cercava di fornire prove concrete dell’immortalità dell’anima, facendo apparire ectoplasmi o fantasmi.  L’occultista potrebbe decidere di poter  far apparire fenomeni astrali o spirituali in modo che altri non iniziati possa averne prova concreta. Ma questo può produrre danno, anziché progresso nell’uomo. Le persone che ricevono prove dell’immortalità dell’anima in questo modo, non desidererebbero più innalzarsi al mondo spirituale. Non si sforzerebbero a produrre organi di senso spirituale per indagare il sovrasensibile: si accontenterebbero dell’uso dei sensi fisici che vedono forme ectoplasmiche. Rimarrebbero materialistiche nel loro modo di concepire lo spirito: non sorgerebbe l’impulso per perseguire uno sviluppo spirituale individuale.

Tali persone sarebbero spirituali nel modo di credere, ma materiali nel modo di pensare. Si farebbero un immagine dello spirito come di una “copia” della realtà fisica. Mentre il mondo spirituale non ha nulla in comune con il fisico. Dopo la morte, tali persone, come i materialisti, credono di stare sognando, di vivere in un mondo onirico. I materialisti dopo la morte credono di sognare e che il risveglio debba avvenire da un momento all’altro. Ma il problema è che non ci si sveglia mai: si rimane sempre “nel sogno dell’aldilà”.

 L’essere umano deve abituarsi a vivere e a pensare senza usare il corpo e i sensi. E questo lo si può fare solo “pensando” le rappresentazioni comunicate dai veggenti, le quali derivano da indagini fatte senza l’uso del corpo, ma attraverso gli organi dello spirito.

 Lo spiritista vuole trascinare le manifestazioni spirituali nella materia, in modo che divengano visibili ai sensi; l’esoterista invece riesce ad innalzarsi verso i mondi spirituali e a riconoscerli quale “sostanza” che vive nel suo pensare, sentire e volere.

Questa è l’inizio della chiaroveggenza: pensare, sentire lo spirito è forgiare l’organo interiore per arrivare a vederlo.

“Vedere” un fantasma” soddisfa i sensi, ma non ci porta a soddisfare la nostra sete di sapere, “capire” le leggi dello spirito comunicate dagli iniziati significa configurare la propria anima a “vedere” lo spirito.

In realtà  per lo spirito umano non è affatto fondamentale sapere che un mondo dell’aldilà esista o no.

Infatti il problema della conoscenza umana non è vedere lo spirito, ma arrivare a comprenderlo, conoscerlo integralmente. Vedere uno spirito è avere dimostrazione della sua esistenza, ma non è “conoscerlo. E scopo dell’uomo non è solo vedere. Ma farsene un esperienza diretta, permanente.

Studiando antroposofia si “emula” uno stato di coscienza superiore: si vive nel mondo spirituale, tramite le narrazioni del veggente, ricevendone un impressione vivente, “nutritiva”. Anche se a tutta prima le comunicazioni spirituali possono essere “paradossali” o inverosimili, si arriva pian piano ad “orientarsi”, a familiarizzare, a suscitare un atmosfera vivente interiore che può diventare una reale percezione di fatti ed esperienze spirituali.

Impegnarsi a “capire” i processi e i mondi spirituali, è iniziare già ad averne esperienza diretta.

Di  fatto per percepire lo spirituale occorre “superare” l’ordinario pensare sentire e volere: evolverlo.

 Il veggente con le sue parole suscita nello studioso una quantità e qualità rappresentativa che oltrepassa l’ordinario pensare: evoca un pensare “volente” che per forza propria è in grado di suscitare nell’ascoltatore un “salto di coscienza”. Si penetra nello stato “immaginativo” che è già un piano spirituale.

Si tratta di diventare capaci di elevarsi ad un pensare superiore, divenendo in grado di pensare mondi superiori.

Tiziano Bellucci

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