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Il “Figlio dell’uomo” e l'io umano

IL POTERE IMMORTALE DI ESSERE UN IO


Siamo esseri strani, ma speciali.

Nasciamo in un corpo fisico.

Ci “arrangiamo” a diventare umani, tramite la famiglia, le istituzioni, la cultura: avanziamo con fatica nella nostra mediocrità, nel tentativo di arrivare a comprendere il nostro ruolo nel mondo, a capire il senso della nostra vita cercando di supporre, di intuire.

Ma ci sentiamo nondimeno in questo limitati, deboli, incerti, timorosi, “troppo umani”.


Sentiamo che nell’affrontare la vita dobbiamo confidare nella buona sorte e negli amici, negli affetti. Tuttavia viviamo una continua insicurezza e paura nel timore “che possa arrivare qualcosa di brutto, di male, di malato”.

Ci affidiamo in molti casi, alla Dea “Destino”.

Alcuni la chiamano “caso” o sorte, altri si affidano ad un’entità superiore divina che li possa proteggere.

“Speriamo che mi vada bene; confido di essere fortunato” si dice.


In realtà si potrebbe fare di più, molto di più che solo sperare di essere favoriti dalla sorte.


Nessuno sa di avere in sé una sforza terribilmente potente. Un principio interiore che ha radici nell’eternità e nell’immortalità. Vi è qualcosa di invincibile e invulnerabile nel proprio intimo, che è capace di superare e sopportare ogni evento, dal più tragico al più penoso.

Nelle tradizioni antiche, veniva chiamato “Figlio dell’uomo”.

E chi è cosa è questo “Figlio”?


E’ un principio che coincide con ciò che sperimentiamo come “coscienza”, come possibilità di sapere di essere. E’ parte dello stato di presenza che viviamo qui ed ora. E’ un testimone occulto che vive in noi, del quale non sappiamo nulla, pur essendo egli l’artefice della nostra stessa coscienza.


E' incredibile. Abbiamo in noi una forza prodigiosa, che non usiamo mai.


Noi ci sottovalutiamo di continuo, quando siamo incerti, timorosi, paurosi. Ignoriamo questo “Figlio” in noi, il quale ha poteri di risoluzione incalcolabili, incommensurabili.


Si può avere il “dono” di avvertire la sua presenza, la sua attività in certi momenti “forti”, prima di affrontare una prova, un compito gravoso.

Ci si può svegliare un mattino, ove ci attende un evento difficile che temiamo da tempo e stupirci di “non avere più paura” e che addirittura, sentiamo sorgere in noi come una sottile e seducente “voluttà” nel voler affrontare la prova. Come se andare incontro all’evento fosse “interessante, entusiasmante”.

Sentiamo che l’insicurezza è sparita e al suo posto regna non solo la calma, ma addirittura un’appassionata, eccitante ed elettrizzata voglia di compiere quel fatto.


Quando avviene questo ci si può ricordare di quelle parole che dicono “chi crede in Me ha vita eterna” (Vangelo di Giovanni). La frase può essere interpretata: “chi crede nel proprio io, sente il suo potere divino”.


La parola “io” contiene un immane mistero.

Non è solo un appellativo: è il simbolo vocalico che evoca una realtà soprasensibile che dimora in un’altissima regione spirituale.


L’io è il “Figlio” delle scritture sacre.


E’ la controparte divina che vive in ogni uomo.

E’ a immagine e somiglianza di Dio.


Chi lo evoca, chi riesce ad appellarsi al proprio io, chi “crede” che un io divino abita in lui, scopre un enorme tesoro. Credere di avere un “io” non è solo un’astrazione filosofica, un tentativo di “consolare” l’uomo. Non è suggestione: è un miracolo. E’ sentire una Forza invincibile e colma di sanezza che si sprigiona nell’anima.


E’ sapere che non è più necessario rivolgersi ad un amico, ad un parente, ad un istituzione, non serve più chiedere o pregare per l’intercessione di un Dio o di un Angelo: è arrivare a sentire che il “Regno dei cieli” è dentro ogni uomo. L’io è questo Regno e nell’esoterismo, il Regno è nelle mani del Figlio, il potere individuale dello spirito.


Arrivare -non a convincersi- ma a sentire che la propria forza divina è accessibile in ogni momento e può soccorrere la nostra umanità deve arrivare ad essere non una fede, ma una certezza, un’evidenza assoluta.


Tiziano Bellucci



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