
LA MIA VITA
La biografia di R. Steiner
Libero studio e sintesi di Tiziano Bellucci, Luglio 2016-07-29
“Posso dunque risolvermi a scrivere quanto segue, unicamente perché ho il dovere di mettere in giusta luce, con una narrazione oggettiva, alcuni giudizi errati sulla via mia vita e la causa alla quale mi dedico”.
Primo capitolo

Credo sia stato importante l’aver trascorso la mia infanzia in questo ambiente: esso mi attrasse verso il lato meccanico dell’esistenza.
A Pottschach nacquero ai miei genitori un figlio e una figlia. Due fratelli.

Io avrei voluto vedere, conoscere come funziona la vita nella filanda e nel mulino. Nella mia infantile mente (sette anni), vi era una convinzione: non serve a nulla far domande su qualcosa che non si può vedere.
(E’ evidente che Steiner bambino trovasse una relazione fra l’elemento meccanico e la legge operante nella natura, come se quest’ultima avesse elementi automatici in sé, legati al concetto deterministico di “Padre”).
Primo amore: la geometria
All’inizio dell’età scolare, scoprii nella stanza del mio supplente, un libro di geometria. Ne rimasi affascinato. Il fatto che fosse possibile vivere con l’anima nell’elaborazione di forme percepite in modo puramente interiore, senza impressione dei sensi esterni, mi dava somma soddisfazione.
Poter afferrare una cosa nello spirito mi dava felicità interiore. Il contatto con la geometria mi donò per la prima volta, la gioia.
Mi dicevo: “gli oggetti e gli avvenimenti percepibili ai sensi sono fuori, nello spazio; ma come questo spazio esiste al di fuori dell’uomo, così nell’interiorità umana c’è una sorta di spazio animico dove esistono gli esseri non sensibili e si svolgono avvenimenti spirituali”.
Nei pensieri percepivo –non astratti pensieri, come comunemente si crede- scorgevo rivelazioni di un mondo spirituale sulla scena interiore dell’anima. Nella geometria scoprivo una manifestazione importante del tutto indipendente dall’uomo. Essa scaturisce grazie all’uomo, ma non è una sua invenzione: esiste di per sé. Nell’uomo arriva solo ad esprimersi, a mostrarsi.
Sentivo: nel modo stesso in cui si porta in sé stessi la geometria, bisogna portare la conoscenza del mondo spirituale.
Tramite la geometria si origina un esperienza in cui si avverte che l’anima può sperimentarla per forza propria.
Dichiarazione di Steiner della sua chiaroveggenza

Vivevano in me, due rappresentazioni che già prima del mio ottavo anno, erano una parte importante della mia vita dell’anima; distinguevo cioè esseri e cose “che si vedono” da esseri e cose che non si vedono”.
Nella geometria, del mio mondo infantile, trovavo la giustificazione del mio parlare di un mondo “che non si vede”.
In quel “mondo” vivevo volentieri. Perché avrei sentito come tenebra il mondo sensibile circostante se questo non avesse ricevuto luce da quello.
Racconto queste cose nella loro verità, sebbene la gente che cerca ragioni per considerare l’antroposofia una cosa fantasiosa possa trarne conclusioni dicendo che fin da bambino ero propenso a fantasticare e che quindi non meraviglia che più tardi si sia formata in me una concezione fantasiosa del mondo.
A otto anni cominciai a disegnare con il carboncino.
Sui dieci anni non ero ancora capace di scrivere correttamente né ortografia, né grammatica.
La religiosità da bambino
La mia anima amava immergersi nella solennità della lingua latina e nei culti religiosi. Fino al decimo anno fui a stretto contatto con il parroco.
L’insegnamento religioso e il catechismo erano di gran lunga meno efficaci nel mio mondo interiore, di ciò che il parroco compiva come ministro fra il sensibile e il soprasensibile.
Tutto ciò era per me sin dal principio, intimo e profonda esperienza.
Vivevo nel mondo sensibile: ma in realtà sentito e vivevo continuamente con quell’altro mondo.
Non ero un sognatore: anzi mi trovavo a posto nelle pratiche della vita.
2° capitolo

Mio padre decise che io “dovessi divenire un ingegnere ferroviario”. E quindi orientò le mie scuole in una direzione tecnica. Fui ammesso alla scuola tecnica, nella città vicina, nell’ottobre 1872, a 11 anni.
Non amavo la vita della città. Solo davanti alle vetrine dei librai sostavo volentieri.
Nella terza classe incontrai un insegnante che personificava l’ideale che mi stava davanti all’anima, che sentivo di poter imitare: insegnava aritmetica, geometria e fisica.
Disegnare con il compasso, la riga e la squadra divenne per me l’occupazione preferita.
La “visione spontanea”
Man mano che crescevo, sentivo di dovermi accostare alla natura, per poter prendere posizione di fronte al mondo dello spirito il quale mi stava innanzi come visione spontanea.
Mi dicevo: “posso orientarmi nel mio mondo spirituale interiore solo se il mio pensiero raggiungerà in se stesso una conformazione tale che lo renda in grado di penetrare fino all’essenza dei fenomeni della natura”.
Kant
Davanti ad un libraio scorsi il libro: “critica della ragion pura di Kant”. Esso divenne il mio primo riferimento filosofico circa il penetrare l’essenza delle cose. Iniziai a leggere Kant. Sentii in me la necessità di stabilire un accordo fra la filosofia astratta e la religione.
Tramite la mia religiosità interiore, avvertivo che lo spirito umano poteva, tramite la conoscenza, trovare la via al soprasensibile.
Il pensare come organo di percezione spirituale

Una “materia” che potesse esistere di per sé, al di là del pensare umano era insopportabile come idea. Ciò che era dentro le cose, doveva poter penetrare nei pensieri umani (I pensieri sono dentro le cose. Non è l’uomo che riflette sulle cose, ma sono le cose che si riflettono in lui, come pensieri).
Verso i quindici anni, grazie ad un medico, venni a conoscere la letteratura di Lessing.
Sentii poi lo stimoli ad interessarmi della storia dell’umanità, del divenire storico.
Arrivai a formarmi la domanda, con il tempo: “fino a che punto è possibile dimostrare che ciò che agisce nel pensiero è spirito, spirito reale?”
Terzo capitolo

Iniziai a scoprire Fichte. Mi resi conto del passo che Fichte voleva fare al di là di Kant.
Ero arrivato a vedere nell’attività dell’io umano l’unico possibile punto di partenza per una vera conoscenza.
Mi dicevo spesso: “quando l’io è attivo e contempla la propria attività, abbiamo nella coscienza, in modo immediato, un elemento spirituale. Si tratta ora di esprimere in concetti chiari e coscienti ciò che in tal modo di contempla (la “presenza” di sé?).
A tal pro mi misi a studiare a trascrivere a modo mio -siccome avevo le mie proprie opinioni- la “dottrina della scienza” di Fichte.
Fino ad allora mi ero tormentato per trovare entro i fenomeni naturali un concetto per definire “l’io”, ed ora al contrario volevo, partendo dall’io, penetrare nel divenire della natura.
“Per me esisteva un mondo di esseri spirituali; il fatto che l’io che è spirito, e vive in quel mondo di spiriti, era per me percezione immediata. La natura non voleva però trovar posto nel mondo spirituale, ch’era per me viva esperienza”.
(Steiner considerava così reale il mondo spirituale, tanto da non potervi trovare nessuna connessione con la materia. Gli mancava il punto di “comunicazione”, il ponte fra spirito e materia)
Sentii di dover concentrare in pensieri la mia percezione diretta dello spirituale. Ma per farlo dovetti ripercorrere il pensiero in altri filosofi. Krug, Shelling, Herbart, Hegel.
Nell’estate 1879 dovetti decidermi su quale strada dirigere il mio futuro: scelsi quella di diventare insegnante di scuole tecniche.
Mi iscrissi a matematica, storia e chimica.
Ebbero importanza speciale le conferenze al politecnico di Vienna di Karl Julius Schroer, sulla letteratura tedesca e Goethe, Schiller.
Il problema della libertà
Arrivò un tempo in cui cominciai a dirmi: “in quale misura è l’uomo, nelle sue azioni, un essere libero?”
Ascoltai vari filosofi dal vivo. Zimmerman, Brentano. Mi faceva profonda impressione sentirli parlare, rispetto al fatto di leggerli.
Lessi poi per la prima volta il Faust di Goethe.
Conobbi Schroer più da vicino. Mi invitava spesso a casa sua, dandomi indicazioni a complemento delle lezioni. Rispondeva volentieri alle mie domande, prestandomi libri della sua biblioteca.
Studiai a fondo la morfologia generale di Ernst Haeckel.

Una volta, dopo la morte di un mio compagno, scrissi di lui ad un insegnante fidato, il quale però non colse nessuna realtà in quel mio lavoro.
La mia visione del mondo spirituale incontrava ovunque disinteresse: altri la relegavano nello spiritismo, modalità per me ripugnante.
L’incontro con l’erborista (iniziato)
Un giorno feci la conoscenza di un uomo, un semplice popolano che ogni settimana andava a Vienna con lo stesso mio treno. Raccoglieva per la campagna erbe medicinali, e le vendeva a Vienna nelle farmacie. Divenimmo amici: con lui era possibile parlare del mondo spirituale come con uno che aveva esperienza in proposito.
Era un uomo profondamente pio, ma immune da cultura scolastica. Aveva un sapienza elementare e produttiva. Egli si manifestava come se la sua personalità fosse l’organo di espressione per un contenuto spirituale che volesse parlare da mondi nascosti. Stando con lui era possibile immergere a fondo lo sguardo nei misteri della natura.
Spesso ho visto sorridere persone che si univano a noi, guardando questo “iniziato”, come uno strano tipo. Il suo modo di esprimersi a tutta prima era comprensibile solo se prima si imparava il suo “gergo spirituale”. Anche io al principio non lo comprendevo, ma dal primo istante ebbi per lui la più profonda simpatia. La sentivo come un anima proveniente da tempi remotissimi, che mi recava un sapere istintivo di epoche preistoriche.
Nulla si poteva imparare, in senso cognitivo, da quell’uomo. Era possibile però, se si era già veggenti, immergersi nel mondo spirituali in modo profondo, attraverso un altro essere che viveva in esso così saldamente. Andavo a volte a casa sua. Sull’entrata della casa vi erano le parole: “tutto riposa nella benedizione di Dio”.
Egli inoltre, aveva un sano senso dell’umorismo.
Quando la vita ci separò, egli rimase vicino nell’anima. Nei misteri drammatici Felix Balde è questo erborista.
Il pensiero come esperienza dello spirito
Sentivo che i filosofi non riuscivano a penetrare nello spirituale, ossia lo presentivano, dandogli però per veste dei pensieri astratti.
“La vita nel pensiero mi apparve gradamente come il riflesso, che irradiava nella mente umana, di ciò che l’anima vive nel mondo spirituale”.
Sorge una domanda: il mondo dei sensi è una realtà incompleta?
I pensieri mi apparivano come il mezzo attraverso il quale il mondo sensibile esteriore esprime se stesso.
Il concetto di spazio circolare
Mi si presentò l’enigma dello spazio. Immaginavo una retta che da destra si prolungasse verso l’infinito: e poi immaginavo la stessa retta che compariva alla sinistra e si congiungeva con il punto di partenza iniziale. La retta di destra, dopo aver compiuto un ampio cerchio, ritornava a sé. Il punto infinitamente lontano a destra s’identificava con quello infinitamente lontano a sinistra.
Cercai soluzioni anche riguardo l’enigma del tempo. Ma non riuscivo ad applicare gli stessi principi che applicai allo spazio per ricavarne una soluzione. Non era possibile ipotizzare che andando verso il futuro si potesse ritornare dal passato verso il presente.
Darwin
Il darwinismo mi appariva come un assurdità scientifica. Il derivare degli organismi inferiori da quello superiori mi sembrava un idea feconda, ma non riuscivo a farla conciliare con il mondo spirituale che io conoscevo: l’uomo proveniva da un mondo spirituale, non da quello animale.
Il pensiero come oggetto

Si trattava di un “vivere nei pensieri”: un modo molto diverso dall’uso comune che si fa nel pensare scientifico o intellettuale.
Aumentando la concentrazione del pensiero, si scopre che la realtà spirituale le viene incontro.
Si trattava di elaborare un metodo che permettesse all’uomo di oltrepassare il pensare intellettivo astratto, per giungere ad un pensare superiore.
La veggenza spirituale percepisce gli esseri dello spirito, così come i sensi percepiscono gli esseri della natura. Ma nel suo pensare l’anima non è lontana dalla percezione spirituale, quanto lo è invece la percezione dei sensi tramite il pensare ordinario.
Quarto capitolo
La musica assunse a quei tempi per me, l’importanza di una crisi.
Il mondo dei suoni in sé era per me la rivelazione di un lato essenziale della realtà.
Dirsi impropriamente “io”
Mi stavo convincendo dell’uso improprio della parola “io”.
Molti materialisti dicono “io penso, io cammino, io parlo”: sostenendo che l’ente che produce il pensare, il camminare, il parlare sia il cervello. Pensavo essi avrebbero dovuto modificare il loro modo di esprimersi. Avrebbero dovuto dire: il mio cervello mi fa pensare, il mio cervello mi ha camminare, ecc. In realtà essi mentono a se stessi, mentre dicono “io”, perché l’io non è il cervello. L’ io è un principio che nulla può toccarlo o afferrarlo. Chi lo concepisce come una forma di manifestazione o produzione della materia cerebrale, semplicemente non lo conosce. O non ha volontà di conoscerlo.
Ad un certo momento venni eletto bibliotecario all’interno del centro di studi. Ebbi così una grande occasione di poter leggere molti testi. Divenni poi presidente del circolo studenti.
Quinto capitolo

Egli aveva nell’anima così profondamente collegata con Goethe, che diceva ad ogni idea che gli sorgeva nell’anima: “avrebbe Goethe pensato o sentito così”?
Chiamavo allora il mio modo di pensare “idealismo ogg